Racconto — Marsala the Unreal

Quello che state per leggere è un divertissement ambientato in una delle città che più amo al mondo, Marsala. Ho voluto tentare di renderne la magia intrecciando l’ambientazione con quella di Unreal, un videogame a cui giocavo tantissimo quando ero più giovane.

Spero di esserci riuscito. Buona lettura.

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Le strade di Marsala sono le strade di Marsala, non ce n’è di uguali in tutto il mondo, e le botteghe chiudono proprio mentre la palla rossa del sole scende dietro la sagoma bianca della Chiesa Madre, le ragazze e le signore chiudono le doppie porte di legno dopo aver tirato dentro gli oggetti rimasti esposti tutto il giorno al passaggio incessante dei turisti, alabarde lunghe come righelli, mazze chiodate di plastica finto ferro, ceramiche e piccoli frati perché i piccoli frati ci sono sempre, balestre di tutte le misure, gli occhi caffè di una commessa adorna di collanine e braccialetti Marsala - la Chiesa Madreriflettono per un attimo il bagliore rosso del tramonto sui ciottoli, Marsala chiude, le luci dei ristoranti barbagliano, qualcosa si muove sulle strade tortuose e strette, salita e discesa, senza fine, girano su se stesse intorno ai mattoni e alle pietre, ai tetti e ai vicoli, antichi ponti protesi verso portoni in legno di case che sembrano vuote ma che vuote non sono, dietro un’ansa improvvisa un’ombra raggiunge la base di uno spettacolo lunare, le piramidi di cristalli di sale scintillano che sembrano quasi tintinnare, seguita da altre ombre che sembrano riposarsi nel girotondo per farsi raggiungere da un gruppo di cinque proprietari di ombre, un’ombra è ombra di turista, principessa irlandese dai capelli color rame, un’altra vortica come una trottola in un pulviscolo di vitalità inarrestabile, la terza è ricurva e arricciata, la penultima tintinna di ciondoli e orecchini e argenti e sfilacci di cuoio e poi c’è l’ombra-guida che procede a strappi, si ferma a ogni portone, trova altre ombre nelle serrature e nelle pietre che conosce come se stessa, scivola negli interstizi tra un ciottolo e l’altro, accarezza angoli e si lascia seguire e il flusso di ombre si insegue da solo e poi comincia a vibrare al ritmo di una marcia metallica, attimo di esitazione e poi le ombre si sparpagliano, cinque dita di una mano che abbraccia gli angoli disponibili e si stringe a chiudere una trappola intorno al mulino ormai vuoto di turisti, il silenzio dell’agguato e prima, prima di ogni altra cosa arrivano le ombre delle armi, mazze chiodate non più di plastica, alabarde non più piccole come righelli, spade non più di metallo disaffilato, i turisti sono scomparsi, inizia la vera vita notturna dell’irrealtà lilibetana, in giro sembra non esserci nessuno, poi spuntano gli elmi e le corazze e le cotte di maglia metalliche e le faretre e le balestre e il cielo angusto ritagliato dai tetti squadrati viene solcato da una teoria di frecce sibilanti che mirano alle cinque ombre, si sparpagliano come dotate di vita propria, l’aria si fa scura e bluastra quasi violacea e le cinque ombre amiche fuggono, scivolano rincorse dalle proiezioni dei guerrieri, filano sulle pietre come animali che nessuno ha mai visto e nessuno mai vedrà e si appostano sulla gradinata sconnessa di un vicolo, in attesa, si leva una voce tra loro che intona melodie antiche, le ombre in coro intessono il loro incantesimo acustico per spezzare il ritmo terrificante dell’inseguimento, li hanno addosso, la meta è di fronte a loro, la chiave per entrare nel palazzo non si sa più chi la possiede, si guardano, si incontrano nella luce in cui tutto è permesso, a metà tra il giorno e la notte, un istante di sospensione e poi le armi, le alabarde sprizzano scintille dalle grate di ferro incastonate nei muri, infuria la battaglia, tra grida e risate e canti e balli le cinque ombre si gettano nella mischia con la sconsideratezza e l’incoscienza tipica di chi ha tanta vita dietro le spalle ma ancor di più di fronte a sé, corpo a corpo, il mulino gira su se stesso a scatti, si compone nello schermo un attimo dopo che l’occhio ne ha colto la frammentata irrealtà ma non basta, non basta a sconfiggere il potere della fantasia, le armi ora sono rosse di un sangue che non c’è, un sangue fatto di minuscoli quadratini di luce proiettati nel vuoto catodico e —

Marsala - tramonto sulle saline

“Oh, minchia”, dice Salvo.

“Be’, potevi tranquillamente evitare di portarci qui, potevamo passare da dietro”, dice l’ombra-trottola, che ha un viso dolce e gli occhi che sorridono e un ciuffo di capelli biondini a nasconderle la fronte.

“What’s happened?” dice Shannon.

“E che ne so io?” dice l’ombra con i capelli ricci, che ha gli occhi chiari e l’accento milanese.

“Be’, e adesso?” dice l’ombra tintinnante, una ragazza dalla carnagione scura che avrà forse cento collanine e duecento braccialetti.

“Seguitemi”, dice Salvo, l’ombra-guida, e insieme agli altri si incammina lungo la strada. È così che funziona, lui a Marsala — e a Mothia, e a Trapani, e a Castelvetrano, e a Mazara del Vallo — conosce tutti e parla con tutti, non importa che siano simpatici o antipatici, si ferma e poi riparte, le stradine sono un po’ sue e un po’ di chi lo segue, l’orgoglio che traspare da dietro i suoi occhiali è un’aura che lo ammanta di gioviale gravità da sensale semiserio.

“Il ristorante è dietro qui, conosco il proprietario”, dice.

“Figurati se non lo conosceva”, dice l’ombra milanese.

“È sempre così”, sghignazza l’ombra-trottola.

Ridono.

“What he said?” dice l’ombra dai capelli ramati.

Ridono ancora. Camminano, si fermano, ripartono, si infilano nel ristorante, salgono le scale di legno e “Qualsiasi cosa, ma pesce dev’essere”, dice l’ombra milanese, che un po’ d’intonazione l’ha presa, dopo tante settimane.

“E se poi ci si appesantisce?” domanda l’ombra tintinnante.

“Con tutti quei gingilli non mi sembri proprio tanto leggera per la battaglia”, ride l’ombra-trottola.

Mangiano.

E bevono.

Ridono e si divertono e parlano metà inglese e metà italiano, con un po’ di marsalese buttato lì a far da interiezione, si baciano e mangiano ancora, brindano alle battaglie fatte e a quelle da venire, e intanto fuori il borgo si prepara a riprenderli, fuori dal ristorante e dentro lo schermo l’aria è rarefatta, quasi magica, le pietre non parlano ma è come se parlassero, sembrano quasi vere, sembrano quasi finte, i piani si intersecano e quando ricompaiono le alabarde dei nemici i nostri cinque sono di nuovo ombra, ombra che vive e sfugge e si ferma e riparte.

Marsala - un'altro tramonto sulle saline

“Nun mi jè piaciuto comu ficimu apprima”, dice Salvo con la faccia seria.

“Che si fa allora?” chiede l’ombra adorna di ciondoli.

Si guardano.

Una risata muta corre tra i loro sguardi: hanno la vita in mano.

“E se ci ribeccano?” chiede l’ombra milanese.

“E chi minchia se ne fotte”, sorride l’ombra-trottola.

Un altro sguardo di intesa.

“Semplice”, dice Salvo. “Si cci pigghiano, ricominciamo u livello.”

Shannon, principessa irlandese, ride e batte le mani felice. “Let’s start the level again!”

Ecco fatto.

Non c’è bisogno veramente di dire altro.

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